Sesso e autismo, un padre racconta
Il padre di una ragazza Asperger affronta in pubblico il tema "sesso, amore e disabilità". L'accesso a una naturale sessualità è un diritto inalienabile per tutti. "La tentazione di chiudere sotto una campana di vetro questi ragazzi così vulnerabili è comprensibile, ma ingiusta".
Raccontare dal vivo, a un pubblico di non addetti ai lavori, le intimità dei nostri figli autistici non era cosa facile: il tema «sesso, amore e disabilità» si presta ancora a troppe ambiguità e raramente è riportato dai media in maniera corretta.
Noi ci abbiamo provato in un contesto «alto», dove abbiamo potuto affidare le nostre testimonianze all'intelligenza di un pubblico colto e attento. Per il Tempo delle Donne, l'evento culturale del blog La 27esimaOra del Corriere della Sera, sul palco del Teatro dell'Arte presso la Triennale di Milano, insieme a me hanno reso testimonianza Cristina Parisi, mamma di Sara, pediatra e ricercatrice sull'autismo; e Massimiliano De Pisapia, papà di Raffaella.
Con infinita delicatezza, Cristina ha sottolineato il concetto di «ingenuità sociale» che crea non pochi problemi ai ragazzi con sindrome di Asperger. Nonostante il livello mediamente alto del loro quoziente intellettivo, questi ragazzi soffrono una sorta di incapacità di percepire la malizia e le conseguenze dei propri e altrui atti. In queste condizioni, le ragazze sono esposte a violenze sessuali, o psicologiche a sfondo sessuale, più casualmente e facilmente di quanto non si immagini.
Con Massimiliano, un papà raro (chissà perché la gestione della sessualità dei figli con disabilità è prevalentemente materna) siamo entrati nel vivo della storia di Raffaella. Con garbo, ironia e dolcezza, questo papà ha voluto raccontarla anche ai lettori di InVisibili.
A Massimiliano e a Cristina va la mia personale riconoscenza per la bellezza assoluta della loro presenza su quel palco, tra queste pagine e nella mia vita. Perché parlare di disabilità è sempre, e comunque, parlare d'amore. Simonetta Morelli
Testo di Massimiliano De Pisapia
Sono il papà di una splendida ragazza Asperger di 22 anni, Raffaella. Intervengo non in qualità di esperto, sono un perito chimico, ma di genitore. O meglio, se volete anche esperto in quanto ho l'esperienza della mia vita con Raffaella e della frequentazione di alcuni suoi amici 'colleghi' Aspie.
Raffaella dicevo «è» Asperger. Non «ha» la sindrome di Asperger.
Nella mia ignoranza scientifica sono convinto che l'autismo non è una malattia, che si contrae e dalla quale eventualmente si guarisce. E' una neurodiversità. E' un modo di essere, diverso da quello dei neurotipici, che naturalmente porta una serie di problemi nella autonomia sociale, nella relazione sociale, compreso il modo di affrontare la sfera sessuale.
Mia figlia Raffaella ha anche un altro problema, soffre di una sorta di bipolarità o di una ciclotimia, cioè presenta periodi di ipotonicità dell'umore, che può arrivare anche a sintomi depressivi, periodi in cui fatica a fare qualsiasi cosa, è demotivata, sonnolenta, poco comunicativa e tendenzialmente triste. Ma è controllabile, prevedibile e coerente nel pensiero.
A questi, alterna altri periodi in cui invece è in uno stato di eccitazione perenne, diventa ipercomunicativa, allegra, fatica a dormire, è piena di iniziative, pure troppe, alienandosi a volte il rapporto con le persone infastidite da un modo di comunicare troppo invasivo e insistente. Le viene una sorta di forte «appetito di vita». Mangia tanto, in modo incontrollato e anche dal punto di vista ormonale ha dei picchi di desiderio sessuale.
In questi periodi è poco controllabile, poco prevedibile (è capitato che uscisse di casa di notte mentre io dormivo), poco prudente (è capitato anche che facesse profferte sessuali dirette a persone adulte). Il pensiero in questi periodi diventa meno coerente, anche per la mancanza di sonno, un po' sganciato dalla realtà e manca una corretta percezione del pericolo.
E qui, evidentemente, cominciano i problemi. Come affrontare da genitori i "comportamenti problematici" e i rischi?
Ci sono per fortuna anche lunghi periodi di equilibrio tra le due fasi.
Spesso i soggetti Aspie hanno un interesse specifico che li appassiona (e a volte un po' li isola dal contesto). Di Raffaella non sono mai riuscito a capire cosa la appassiona veramente, quale è il suo interesse principale, se non quello di conoscere le date, gli eventi che coinvolgono le persone che conosce, il loro curriculum scolastico in particolar modo.
Il «vantaggio» per Raffaella è che nella comunità Asperger c'è una netta prevalenza maschile. Questo le assicura un certo successo all'interno della comunità stessa, che in qualche modo compensa i frustranti insuccessi nei tentativi di approccio con i neurotipici.
La «comunità Asperger» di cui parlo, e che è tanto preziosa per la vita relazionale di queste persone, non cade dal cielo e nemmeno è un servizio civilmente erogato da un welfare degno di questo nome. E' il risultato della fatica e della buona volontà di persone che si sono associate con lo scopo di mitigare la solitudine e l'esclusione sociale delle perone autistiche. Lo «Spazio Nautilus» che si occupa di proporre progetti di vario tipo per creare occasioni di aggregazione attiva (dove do il mio piccolo contributo conducendo da quattro anni, insieme a Elisabetta Denti, un corso settimanale di teatro). L'«Associazione Diesis» che si occupa di sviluppare progetti di autonomia delle persone autistiche e con sindrome di Asperger. La comunità «I Semprevivi» creata e gestita da Don Domenico della parrocchia di Wagner, l'«Associazione Fraternità e amicizia» sono quelle che sul territorio di Milano frequenta Raffaella.
Il fatto è che le persone Asperger spesso mancano di malizia, anche la più elementare, quella che ti permette di gestire le situazioni sentimentali complesse.
Un aneddoto recente può spiegare bene le conseguenze della loro «ingenuità sociale».
Raffaella frequentava un ragazzo, anche lui aspie, L. Si vedevano ogni tanto la domenica, andavano in giro, si scambiavano qualche bacio e qualche effusione. Tanto bastava evidentemente perché L. si sentisse fidanzato con Raffi. In un recente periodo di fase "ad alta frequenza" Raffi si è sentita con un altro ragazzo aspie, M. Si sono visti, hanno fatto un giro sui Navigli e si sono baciati. M. ha fatto un selfie del bacio, lo ha postato su Facebook e ha scritto «ufficialmente fidanzato con Raffaella». Lei clicca «mi piace».
L. vede e ci rimane male. Ricevo una telefonata da Raffaella che è sinceramente stupita e addolorata perché L. si è ingelosito e l'ha trattata male e le ha detto che non voleva più vederla. Ho dovuto spiegarle che era normale; che baciarsi con un ragazzo era in qualche modo impegnarsi con lui; che frequentando, coccolando e baciando si generano nell'altra persona dei sentimenti che vanno rispettati, di cui bisogna tenere conto. Che capivo il suo desiderio di baciare M. (è piuttosto bello) ma che a volte non si può inseguire ogni istinto che ci viene perché si rischia di generare del dolore. M. viene a sapere della reazione di L. e scrive su Facebook allo stesso L. un messaggio minaccioso dove gli intima di non avvicinarsi più a Raffi e che se lo faceva gli avrebbe fatto tanto male. L. si spaventa, la mamma di L. anche, e mi chiama per sapere cosa stesse succedendo. Insomma, un putiferio. Mi sono sentito in dovere di intervenire parlando con Raffi, con L. e con M. e faticosamente è tornata la pace.
L'inizio delle pulsioni sessuali e delle prime esperienze è iniziato circa a 14-15 anni, e in concomitanza è comparsa la bipolarità. Prima Raffaella era una bambina aspie con un carattere docile e stabile. Purtroppo, giocoforza, sono comparsi anche i farmaci nella sua vita. E trovare la terapia più efficace non è stata una passeggiata.
Il mio approccio al problema. Cerco di essere un controllore discretissimo e non invasivo, un ascoltatore non giudicante, anche di fronte a comportamenti problema, come ad esempio quando mi racconta che è lei stessa ad «esporsi» per prima.
Le dico che comprendo i suoi desideri, e che sono naturali, che non deve vergognarsi di provarli. Poi le spiego la mia opinione. Quali sono secondo me le strategie più efficaci e quali meno, in amore.
Poi analizziamo i rischi e i pericoli. In questa fase, piuttosto incisivamente e approfonditamente, le chiedo spesso se concorda sull'analisi dei potenziali pericoli e sui metodi per evitarli o minimizzarli.
Forse grazie a questo approccio non è mai mancato il dialogo, lei ha sempre continuato a raccontarmi tutto quello che fa (almeno credo e spero), ogni bacio che dà, la volta che ha tentato di fare l'amore (raccontatami decine di volte). Mi racconta le cose che le danno piacere e quelle che la infastidiscono.
Sono perentorio solo su una cosa: di non fare mai qualcosa che non ha voglia di fare per far piacere a qualcun altro. Anche se il ragazzo che gliela chiede le piace molto. Cerco di spiegarle l'importanza del rispetto di se stessa e della sua volontà in questo campo.
Non so se faccio bene o faccio male, confesso che non ho letto il libretto delle istruzioni, quindi seguo il cuore, l'istinto e il buon senso… nei limiti di quello di cui dispongo.
Sono separato da 10 anni dalla mamma di Raffaella, e abbiamo qualche problema di comunicazione, ma sono sicuro che anche lei fa quello che può per affrontare questi problemi.
Ritengo che l'accesso a una naturale sessualità sia un diritto inalienabile per tutti, soggetti fragili compresi.
La tentazione di chiudere sotto una campana di vetro protettiva questi ragazzi così vulnerabili è comprensibile, ma intrinsecamente ingiusta a mio modo di vedere, buona per tenere lontani i pericoli e per salvaguardare chi si trova nel ruolo di proteggere le persone fragili, ma non sempre per la felicità di queste ultime.
Dipende da cosa si vuole dalla vita, nostra e dei nostri cari. Attraversarla cercando di tenere lontani il più possibile i pericoli o cercare anche di essere un po' felici tutti i giorni? A volte queste due cose sono parzialmente incompatibili.
Insomma, penso che una certa dose di rischio dobbiamo prendercela. Spero di non dovermi mai pentire di quello che ho detto.
Una cosa che mi mette piuttosto in crisi è quando mi dice: «Papà, ma potrò avere dei figli anch'io quando sarò più autonoma?» Le dico, chissà, magari sì, ma non è mica obbligatorio, si può vivere felici anche senza, è una responsabilità molto grande, per adesso no, non mi sento pronto a fare il nonno, non hai un lavoro, non sei in grado di badare a te stessa in tutto e per tutto, devi ancora lavorare molto sull'autonomia…
La verità è che non so davvero cosa risponderle.
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