Elio: «Com'è difficile con un figlio autistico»
Stefano Belisari, che tutti conoscono come Elio, il frontman del gruppo Elio e le storie tese, è il testimonial di una campagna di sensibilizzazione lanciata dal comitato Uniti per l'autismo e di una raccolta di firme su Change.org. Perché, prima di tutto, è il papà di un bimbo con autismo. "Siamo all'età della pietra".
Nella giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo, Elio ha partecipato alla tavola rotonda organizzata a Varese dalla Fondazione Sacra Famiglia. E ha spiegato: «Ho vissuto, e vivo, la condizione di genitore di un bimbo autistico. Voglio dire chiaramente che su questo tema siamo all'età della pietra, specialmente sotto il profilo della percezione. C'è poi il problema dei ciarlatani, delle "cure" che non fanno effetto».
È difficile, per le famiglie, anche riuscire a capire come orientarsi: «Ricordo quando cercavamo, io e mia moglie, qualcuno che ci dicesse se nostro figlio era autistico o no: avere una diagnosi è pressoché impossibile, ti viene fatta quasi sotto banco, ma in realtà si tratta di un passaggio fondamentale, perché la diagnosi precoce va fatta. È importante. Meno male che poi ho incontrato l'amico Lucio».
Elio parla di Lucio Moderato, al tavolo dei relatori insieme a lui. È il direttore dei servizi innovativi per l'autismo di Fondazione Sacra Famiglia, e chiarisce alcuni aspetti sulla condizione: «È geneticamente determinata, non più come si credeva una volta, quando si dava la colpa alle "mamme frigorifero" perché incapaci di amare i propri figli. Pensate che a metà degli anni Settanta l'incidenza dell'autismo era uno a 70 mila, oggi il rapporto ha tre zeri di meno: una persona ogni 70 è autistica, con diversi livelli di funzionamento intellettivo, diverse capacità e disabilità. Non dobbiamo curare, perché non è una malattia, ma prenderci cura attraverso interventi educativi e abilitativi».
Elio, in particolare, denuncia la solitudine delle famiglie lombarde: «Purtroppo – spiega ancora Elio – nella nostra ricchissima e avanzatissima regione queste persone sono abbandonate completamente alle proprie famiglie che devono farsi carico di tutto, delle spese per i trattamenti, della mancanza di inclusione e del dover affrontare, senza strumenti validi, le prospettive per il futuro. In Lombardia ci sono norme che potrebbero migliorare tantissimo tutto questo. Basta volerle applicare».
Monica Coviello, Vanity fair