Editoriale: In ascolto delle loro storie
Quando salgo in auto, il martedì, diretta a via Gianbattista Soria, a volte sono nervosa: è tardi, e Roma a quell'ora è un unico incessante ingorgo di traffico e smog. Poi il mio ufficio continua a chiamarmi, con i mille problemi di ogni giorno.
Ma quando parcheggio la mia Smart nel cortile, il mondo si allontana un po'. Qualche volta non arrivo subito a Breccia, perché c'è sempre una mamma che mi invita a prendere un caffè, ansiosa di raccontarmi i progressi della settimana di suo figlio, che ha preso ad indicare in modo compiuto, e non era mai successo…
Quando le famiglie sono nuove, nelle prime settimane intensive di trattamento, quasi sempre sono incredule rispetto ai risultati che riescono a raggiungere in cosi poco tempo. E allora scavo nel loro stupore e scopro quante volte sono stati promessi ai loro figli risultati che poi nemmeno si sono intravisti in lontananza. Quante volte le prime diagnosi sono state incomplete, per non dire totalmente sbagliate. E soprattutto quante volte sono state suggerite loro strade inutili, in qualche caso dannose. Quanto tempo è stato perso. Come Claudio, che in una estenuante logopedia ha aumentato notevolmente la suafrustrazione e i comportamenti problema. Come Chiara, che la terapista chiudeva con lei nella stanza, ma non era consentito a mamma e papà di sapere come procedeva la terapia perché – è incredibile, lo so! – non bisognava tradire il rapporto medico-paziente. Solo che Chiara ha appena 5 anni.
Ascolto le loro storie, e penso quanto importante sia spendere ogni energia possibile perché le istituzioni si facciano carico del problema anche culturale legato all'autismo, perché ogni pediatra, ogni medico, ogni ASL sia in grado di riconoscere un bambino autistico entro i primi due anni di vita, come è oggipossibile fare, e sappia indirizzarlo verso strutture dove realmente si sappia dare una risposta rapida ed efficace.
Certo, arrivare a Breccia non vuol dire aver risolto tutti i problemi. E allora cerchiamo di affrontare insieme almeno quelli pratici, come indirizzare le richieste di rimborsi presso le Regioni che li prevedono. O ragionare su piccoli eventi di solidarietà che possano supportare chi ne ha più bisogno: il nostro modello è impegnativo, sul piano economico ed emotivo,ma alla fine sonoi risultati quelli che contano.
Questo mi dicono, con le parole e con i gesti, le famiglie che incontro, e allora io risalgo in macchina e penso che chi se ne importa se c'è molto traffico e arriverò tardi. E penso a quanto sono grata a Gerardo e ad Alberto per avermi portato dentro la vita di Breccia, a Leonardo, Graziana e a tutti i terapisti straordinari che rendono possibili quei risultati, e soprattutto ad ognuno di quei genitori che ha voglia di condividere con me un pezzettino della sua storia.
Grazie, davvero….
Annamaria Malato, vicepresidente dell'Associazione di volontariato "Una breccia nel muro"