Usa, dubbi sullo screening di massa
Molto meno accurato del previsto e poco inclusivo. In sostanza: poco affidabile. È così che i ricercatori del Children's Hospital of Philadelphia (Chop) considerano lo screening di massa per l'autismo condotto negli Stati Uniti sui bambini tra i 18 e i 24 mesi. Troppi i falsi negativi: viene individuato solo il 40 per cento dei bambini che poi ricevono una diagnosi da più grandi.
È la prima volta che le procedure dei controlli di routine per i disturbi dello spettro autistico vengono sottoposte a una valutazione così approfondita. Il giudizio consegnato alle pagine di Pediatrics non è lusinghiero: nel mondo reale gli strumenti maggiormente utilizzati per la diagnosi si sono rivelati meno accurati di quanto avessero dimostrato nello scenario da laboratorio. Inoltre, lo screening fallisce spesso nell'individuare i segni precoci dell'autismo tra le minoranze etniche e nelle fasce di popolazione a basso reddito.
Lo screening per l'autismo, raccomandato dall'American Academy of Pediatrics (AAP), si basa sul protocollo "Modified Checklist for Autism in Toddlers with Follow-Up (M-CHAT/F)", un questionario rivolto ai genitori per individuare eventuali anomalie nel comportamento dei figli che possono suggerire una diagnosi di autismo. Il questionario consiste in 20 domande specifiche e viene eseguito due volte a distanza di tempo per escludere il rischio di falsi positivi.
Lo strumento si è dimostrato accurato nei contesti di ricerca in cui è stato testato. Ma non era ancora stato valutato nella pratica clinica reale, quando poi viene realmente usato dai pediatri di famiglia durante le visite di controllo. Poco o nulla si sapeva, per esempio, della salute dei bambini risultati negativi al test una volta cresciuti.
Lo studio del Children's Hospital of Philadelphia è il primo a giudicare le performance degli strumenti di screening a disposizione dei medici in real-world. I ricercatori hanno passato al vaglio i dati di 26mila pazienti, il 99 per cento dei quali era stato sottoposto allo screening con il questionario M-CHAT/F tra i 16 e i 26 mesi. Tutti i bambini sono stati seguiti fino ai 4-8 anni di età.
A sorpresa, i pediatri hanno scoperto che lo strumento universalmente adottato era riuscito a individuare solamente il 40 per cento dei bambini che avevano ricevuto successivamente una diagnosi di autismo.
Nonostante queste lacune, lo screening rimane utile, avvertono i ricercatori. Una buona notizia, infatti, c'è, ed è che i bambini risultati positivi allo screening ricevono una diagnosi 7 mesi prima di quelli risultati negativi, anticipando così l'inizio dei trattamenti.
«Sebbene i nostri risultati rivelino carenze significative negli attuali strumenti di screening, vogliamo sottolineare che non stiamo invitando i pediatri a interrompere lo screening universale. Piuttosto i medici dovrebbero continuare a eseguire lo screening consapevoli però del fatto che all'M-CHAT/ F possono sfuggire molti bambini con autismo. Qualsiasi preoccupazione dei medici o dei genitori dovrebbe essere presa sul serio e bisognerebbe garantire una sorveglianza continua anche se un bambino è risultato negativo all' M-CHAT/F», affermano i ricercatori.
Come a dire: lo screening può essere molto utile quando il risultato è positivo, ma un risultato negativo va preso con le pinze.
C'è poi un'altra falla nel sistema individuata dai pediatri di Philadelphia: lo screening non arriva a tutti, il 9 per cento dei bambini che non sono stati sottoposti ai test appartengono per lo più a gruppi etnici minoritari o a fasce sociali disagiate. Non solo: una volta sottoposti a screening questi bambini avevano maggiori probabilità di ottenere un risultato falso positivo.
«Questo studio ha rivelato importanti limiti del sistema di screening e ci fornisce nuove conoscenze utili per apportare miglioramenti critici agli strumenti e ai processi di screening dell'autismo, in modo che i pediatri possano diagnosticare e dare sostegno a più bambini con autismo e ridurre le disparità nella diagnosi e nella cura», concludono i ricercatori.