La chiusura delle piscine ha interrotto la routine di tanti ragazzi con autismo. Per molti di loro, il nuoto fa parte del piano educativo individualizzato e quindi del percorso scolastico. Stefania Stellino, presidente dell'associazione Angsa Lazio: "Mio figlio è destabilizzato. Andava in piscina tre mattine a settimana e questo per lui significava equilibrio, tranquillità ma soprattutto apprendimento".
Per qualcuno è semplicemente un'attività che si ferma e qualche ora che si libera: per altri però la chiusura delle piscine rappresenta un vero e proprio sconvolgimento nella vita e nell'equilibrio. Parliamo dei ragazzi con autismo e con disabilità intellettiva: per tanti di loro quell'ora scarsa di nuoto significa "trovare la pace", rilassarsi in quella routine di cui hanno vitale bisogno.
A raccontare a Redattore Sociale il durissimo impatto di questa misura sulle famiglie di questi ragazzi è Stefania Stellino, presidente di Angsa Lazio e mamma di due ragazzi con autismo. "Una delle notizie che non avremmo mai voluto ascoltare nel fine settimana scorso è stata la conferma della chiusura delle piscine, che per molti dei ragazzi con disabilità intellettiva o nello spettro dell'autismo, vuol dire non tanto divertirsi, non solo allenarsi o fare attività di gruppo, ma significa poter godere di 50 minuti di relax, di pace con il mondo, di relazione con l'operatore e di tranquillità. Chiudere anche alla disabilità le piscine – continua - vuol dire distruggere routine che già erano state bloccate con il lockdown di primavera: in quel caso però era tutto chiuso e non c'era la percezione di qualcosa che mancasse, perché mancava tutto. Mancava la scuola, mancava l'uscire, mancava qualsiasi tipo di attività. Ora invece, per chi aveva la piscina inserita all'interno del Piano educativo individualizzato (Pei) della scuola e quindi parte integrante del percorso scolastico, interrompere all'improvviso routine radicate da anni e soprattutto dall'inizio della scuola vuol dire distruggere, completamente disorientare e sconvolgere la vita di una persona che non ha più riferimenti nell'agenda giornaliera e settimanale".
La piscina come luogo di apprendimento
Per rendere meglio l'idea, Stellino ci racconta la propria esperienza personale con suo figlio: "Per Daniel, il lunedì, il martedì e il giovedì erano dedicati alla piscina: in quei giorni usciva con un operatore alle 8:30, alle 9 era pronto per entrare in vasca, stava in acqua 50 minuti con un'operatrice specializzata che lavorava con lui anche sulla gestione della frustrazione. In vasca si rilassava, stava tranquillo: quando usciva dall'acqua andava nello spogliatoio con l'operatore che lavorava sulle autonomie, perché è per questo che la piscina è stata inserita nel Pei, per poter lavorare su quegli apprendimenti che per un ragazzo come lui, col suo livello di autismo, possono avere un senso, un significato fondamentale". Daniel infatti "non può lavorare come il resto della classe sull'acquisizione di apprendimenti meramente didattici – spiega ancora Stellino - Quello che con lui si può e si deve fare è lavorare appunto sulle autonomie e quindi sui cosiddetti apprendimenti in incidentale. E cosa c'è di più incidentale del poter sperimentare quello che si impara magari su una stringa, come le sequenze della doccia, durante la doccia stessa? Cosa che naturalmente nell'ambito scuola in senso stretto non si può fare. Ed ecco il ruolo ed il valore della piscina: qui si può lavorare sullo svestirsi, sul lavarsi, sulla tolleranza del getto della doccia, sul rivestirsi, sul mettersi le scarpe. Tutto questo è saltato", osserva Stellino.
Chiudere le piscine significa destabilizzare
E l'impatto di un cambiamento del genere non può che essere pesante: "Chiudere le piscine in questo momento vuol dire far saltare tutta la programmazione, far saltare tutta l'organizzazione, destabilizzare – riferisce Stellino. Capisco e capiamo i motivi giustissimi: siamo stati tra i primi ad affermare, al tempo del lockdown, che ciò che valeva per tutti i cittadini doveva valere anche per le persone nello spettro. E' anche vero però che in questa fase non si può non tener conto delle persone con disabilità, di quanto già abbiano sofferto per le deprivazioni inspiegabili dei mesi scorsi. Ricordiamoci che le piscine, così come le palestre, hanno ottemperato a tutte le prescrizioni sulla sicurezza. La piscina è un posto sicuro così come la scuola – osserva Stellino - Chiudere la piscina in questo modo, significa scardinare la routine: è la cosa più deleteria per una persona nello spettro dell'autismo".
E gli effetti non si fanno attendere: "In questi giorni è stata durissima, sembra di muoversi all'interno di una polveriera: la minima scintilla potrebbe essere fatale! E la rabbia e l'aggressività di Daniel sono figlie del disorientamento e della destabilizzazione più che dell'autismo, il quale in queste condizioni peggiora le sue manifestazioni. Stanotte alle 2.30 Daniele era sveglio e molto agitato - ci racconta - Così agitato che ho temuto che i vicini chiamassero il 112. Per mezz'ora è stata davvero dura, poi abbiamo trovato l'equilibrio, lui con il suo iPad, io a riordinare le mensole della cucina, perché qualcosa dovevo pure fare!".
Racconta anche Stefano, papà di un ragazzo con autismo: "Senza la piscina del sabato sera, sono cavoli amari. E mi dispiace molto anche per i gestori, perché hanno speso tanti soldi per organizzare il tutto a norma. Oltre che unico momento di attività fisica settimanale, utile anche a sensibilizzarlo al variare dello stato (asciutto, bagnato, vestito, spogliato), andare in piscina serviva per incrementare le sue funzioni esecutive. Adesso è spiazzato per il venir meno di questo punto di riferimento serale, peraltro aggravato dal ritorno all'ora solare (giornate più corte). La piscina chiudeva la giornata che, a sua volta, concludeva la settimana. Ora farne a meno è molto faticoso"
Redattore sociale